SCUOLA DI CUCINA | RASSEGNA STAMPA – www.larena.it: L’altro Perbellini, Chef negli Usa

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di Elisa Pasetto

Elia Perbellini punta a conquistare gli Usa con le ricette tipiche del VeroneseElia

Ventidue anni, un diploma di chef professionista, un curriculum vitae «stellato», e, nel cassetto, un sogno a stelle e… strisce.
Elia Perbellini, giovane cuoco di Isola della Scala, col più celebre e titolato Giancarlo non ha legami di parentela. Ma la passione per la cucina, c’è da giurarci, è la stessa. È quella che l’ha portato, lui diplomato allo scientifico e pronto a iscriversi a Giurisprudenza, a rivoluzionare in pochi mesi il suo futuro, iscriversi all’Accademia italiana chef, lavorare duramente a fianco di alcuni dei più celebri capocuochi e preparare i bagagli per gli Stati Uniti, dove vuole trasferirsi nonostante le restrizioni ai visti imposte dal presidente Trump, grazie al suo «lasciapassare»: il menù «green» a base di risotto all’isolana e sbrisolona che vuole esportare.
«Con la cucina è stato un vero colpo di fulmine», racconta. «nel 2015, dopo il diploma, ero in Nuova Zelanda per imparare l’inglese e lavoravo in un ristorante di pesce per mantenermi. È stato lì che sono rimasto letteralmente abbagliato dai meccanismi della cucina. E dopo i sei mesi all’estero ho deciso di iscrivermi all’Accademia».
Dopo un anno tra lezioni teoriche e stage al ristorante Le Ancore della Bastia a Lazise, arriva il momento dell’esame: «Il mio piatto non poteva che essere un risotto», spiega, «ma ripensato in versione tropicale con code di gamberi e ananas».
Poi, una serie di fortunati incontri: al ristorante DeGusto di San Bonifacio (sì, proprio quello di Matteo Grandi, vincitore del programma Sky Hell’s Kitchen) incontra lo chef Domenico Burato (che si era conquistato una stella Michelin all’ex «Desinare» di via Santa Teresa a Verona).
Poi la stagione 2016 al ristorante Oseleta di Cavaion, gomito a gomito con lo chef campano Giuseppe D’Aquino, che gli aveva affidato gli antipasti. «E nel novembre scorso sono partito per gli Stati Uniti: volevo capire le prospettive che offre quel Paese per questa professione. Restare in Italia? Nella mia vita ho fatto molti viaggi, adoro il bagaglio culturale che mi hanno lasciato. Anche la mia cucina ne ha risentito: è variegata per odori e prodotti».
La decisione è presa, i contatti pure: durante i sei mesi con base a San Diego, Elia ha trovato diversi ristoratori californiani disponibili a dargli un’occasione.
C’è già anche il progetto da esportare: «Un menù green, a impatto zero: ricette made in Verona realizzate con prodotti di qualità californiani, per abbattere le emissioni di Co2 e ridurre i costi, utilizzando metodi di cottura meno impattanti dal punto di vista energetico.
Quel che ho capito nel mio sopralluogo, infatti, è che il futuro in America, anche nella cucina, è il rispetto dell’ambiente. Là invece, da questo punto di vista, c’è un grande spreco di risorse».
Sbarcheranno con lui a San Diego, quindi, risotto all’isolana («me l’ha insegnato nonno Aldo, che era risottaro alla Fiera del riso»), bigoli con le sarde («gli americani le hanno») e la granella di pane, la sbrisolona («ma rivisitata con i pistacchi californiani»).
«Purtroppo il problema oggi, in America, non è trovare lavoro, ma è il visto», ammette, «perché Trump vorrebbe solo cuochi diplomati alle culinary school americane. Spero che la mia esperienza possa fare la differenza».
A San Diego, infatti, lo aspetta l’amore.

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